Aree tematiche

Storia del Sante Zennaro

La denominazione Sante Zennaro è stata attribuita fin dalla fine del 1956 all’Istituto Medico Psico Pedagogico funzionante in un’altra struttura, la cosiddetta Colonia Agricola e, ancor prima, ad un padiglione del Lolli, il famoso o famigerato Padiglione 11 che ospitava i bambini del manicomio pediatrico. Quest’ultima struttura, il Lolli, è nata a metà del 1800 per volontà dello psichiatra Luigi Lolli e di progettisti davvero straordinari che hanno saputo costruire con tutte le caratteristiche tecniche e strutturali previste per il miglior funzionamento di allora, un edificio così articolato e funzionale per quei bisogni e per quella cultura da essere visitato, studiato, appellato come il modello imolese sia a livello regionale che a livello nazionale. Al Lolli venivano ospitati i cosiddetti malati di mente provenienti dalla Provincia di Bologna e all’Osservanza, altra grandiosa e successiva struttura manicomiale, quelli provenienti dalla Province di Forlì e di Ravenna che non avevano istituti manicomiali propri.

Il Padiglione 11 era collocato in fondo a tutti gli altri padiglioni in viale D’Agostino n.2, con  un ingresso a cancello sulle alte mura sopra al quale ancora troneggia la dicitura marmorea ISTITUTO MEDICO PSICO PEDAGOGICO PROVINCIALE. Il Padiglione 11, appartato, isolato, remoto, defilato, lugubre, quasi a fianco della camera mortuaria, accoglieva bambini cosiddetti minorati psichici, di svariata provenienza: alcuni provenivano dagli orfanotrofi, altri direttamente dal brefotrofio in cui venivano portati dalle cliniche ostetrico-ginecologiche. Qui le mamme che partorivano ma non volevano o non potevano crescere i loro figli lasciavano che le infermiere li portassero via verso un destino che non avrebbero mai conosciuto. Altri bambini erano trovatelli abbandonati oppure provenienti da famiglie misere che non potevano occuparsi di loro. Altri ancora erano quelli provenienti dalla famigerata ruota dei conventi, dove li si poteva lasciare senza essere visti. Altri ancora erano abbandonati in cestini sui gradini delle chiese.

Le donne, infatti, molto spesso, venivano internate perché, per qualche ragione, la loro permanenza in famiglia non consentiva di mantenerne il buon nome. Con un pretesto venivano avviate ad una visita speciale in ospedale ma, arrivate là, i cancelli si chiudevano alle loro spalle e la loro vita diventava un incubo. Talvolta erano donne con cui i familiari non volevano ripartire il patrimonio oppure vedove cui i parenti, in assenza di un marito, non intendevano provvedere al mantenimento o ancora mogli ripudiate. Qualcuna di loro, poi, subiva violenze all’interno della stessa struttura manicomiale e, poiché non esistevano contraccettivi o interruzioni di gravidanza assistite, alla nascita dovevano rinunciare al loro bambino che veniva affidato alla adiacente struttura brefotrofica e poi manicomiale pediatrica. In tal modo si perpetuava all’infinito una aberrazione rispetto a donne e bambini. E ancora c’erano ragazze internate già in gravidanza, poiché tali gravidanze o erano di provenienza sconosciuta o erano di provenienza disonorevole, magari anche da incesti familiari (padri o fratelli, specialmente nei territori montani o rurali più isolati e più poveri).

L’Istituto psichiatrico, denominato Istituto Medico Psico Pedagogico dalla professoressa Maria Montessori con l’intenzione di affrontare la condizione di questi bambini in una dimensione che non fosse solo di costrizione fisica, accoglieva bambini da pochi mesi di vita fino ai 12-13-14 anni quando poi passavano all’istituzione per adulti.

Certamente, rispetto al secolo precedente, era questa una visione migliore, innovativa e più moderna: tuttavia, anche l’Istituto Medico Psico Pedagogico è divenuto poi, per troppo tempo, un lager per bambini, che molto spesso di psicologico e di medico non avrebbero avuto alcun bisogno.

Il Padiglione 11 del Lolli, istituito a Imola nel 1949, era accerchiato da alti muri e da tutti gli altri padiglioni dei cosiddetti matti adulti. I bambini erano praticamente rinchiusi con operatrici, educatrici e infermiere che si occupavano di loro durante il mattino con elementari attività scolastiche e durante il pomeriggio con elementari attività di intrattenimento. Durante la notte venivano talvolta legati, incatenati o trattati con psicofarmaci, sorvegliati da personale infermieristico anche addolorato per quello stile di coercizione, ma impotente ad esprimere alcunché di umano e affettuoso poiché l’indirizzo direzionale era quello della severità, della punizione, del rigore. Ci sono testimonianze crude della vita interna al Padiglione 11, con l’imperativo del “chiudi tutto quello che apri” e con il grosso mazzo di chiavi sempre in mano a tutti gli operatori.

E’ arrivata poi la testimonianza dell’arrivo quasi miracoloso del nuovo direttore Eustachio Loperfido che, sull’onda delle esperienze di Franco Basaglia anch’egli psichiatra e anch’egli innovatore nei manicomi di Trieste e Gorizia, oltre 10 anni prima dell’arrivo della rivoluzionaria legge Basaglia del 1978, già dai primi anni ’60 a Imola sperimentò l’abbandono delle chiavi.

Questo mazzo di chiavi, diceva Loperfido ai bambini, agli operatori e agli infermieri stupiti, sbalorditi, increduli e molto spesso ostili, ora lo appendiamo alla parete; le porte sono aperte, in giardino ci si va ogni qualvolta ne sentiamo il bisogno (prima c’era un piccolo quadretto asfaltato fuori dal portone che i bambini vedevano dalle grate delle finestre) e poi andiamo in giro per le strade di Imola. Andremo anche in vacanza in collina, a Covigliaio, in mezzo ai boschi e pure in montagna, a Cavalese, a Dobbiaco o al mare, a Igea Marina.

Eustachio Loperfido, questo straordinario direttore che aprì le porte del manicomio dei bambini a Imola, fu seguito anche dal Direttore del manicomio degli adulti, Giorgio Antonucci, che fece altrettanto. Loperfido divenne poi Assessore ai Servizi sociali al Comune di Bologna nel 1970 e vi rimase per 2 legislature fino al 1980 al fianco di un altro uomo importante per la politica, il sindaco di Bologna di quelle 2 legislature, l’imolese Renato Zangheri.

Scienza e politica anticiparono e trainarono la legge Basaglia.

Nacquero in quegli anni i Consorzi dei Servizi sociali, nacque l’idea dell’asilo nido a supporto della famiglia e delle mamme che lavoravano e  soprattutto a supporto di una crescita equilibrata del bambino. Si diffusero le scuole dell’infanzia, si legiferò a livello regionale e si sostenne economicamente la nascita di queste strutture in tutti i Comuni grandi e piccoli della nostra Regione.

Eustachio Loperfido fece uscire il manicomio infantile dalla struttura del Lolli per farlo poi transitare al primo piano della Casa di risposo Cerchiari in via  Venturini e  nella cosiddetta Colonia Agricola, oggi  sede dell’Istituto professionale per l’Agricoltura “Luca Ghini”.

Davanti all’edificio rurale della Colonia Agricola si estendeva il terreno dei campi e degli orti in cui venivano impegnati terapeuticamente (ergoterapia) gli internati adulti che avevano qualche attitudine al lavoro. I bambini dentro la casa vedevano gli adulti dalla finestra e in qualche modo anche loro si dilettavano; qualche volta scappavano pure, si nascondevano e tornavano dopo alcune ore, ma il direttore Loperfido non si preoccupava e chiedeva agli operatori di non preoccuparsi. Sapeva che il loro punto di riferimento era quella casa e dopo essersi svagati sarebbero rientrati.

Questo non fu accettato subito da tutti gli  operatori che, spesso preoccupati per le responsabilità che sentivano rispetto alla vigilanza di questi ragazzi, erano perplessi e si opponevano alle direttive di Loperfido: capitò pure che si licenziassero.

 

Dalla Colonia Agricola questo gruppo di ragazzi doveva poi trasferirsi nei locali del nuovo Complesso Sante Zennaro, nel 1970, in quella meravigliosa struttura costituita da  casette piccole, con camerette piccole, con tanti bagni, con tanto verde, con tanto colore, con gli arredi delle aule gialli, rossi, verdi, azzurri. Questa nuova destinazione fatta di libertà, luce, spazi, colori, dopo una breve esperienza di scuola all’aperto statale divenne poi a tempo pieno e durò due anni scolastici soltanto, il ’70-’71 e il ’71-‘72. L’Istituto Medico Psico Pedagogico Sante Zennaro di Imola fu chiuso nel 1973, dopo poco tempo dalla sua apertura nella nuova sede di via Pirandello 12, per divenire Centro dei Servizi sanitari e sociali.

ultima modifica 03/06/2019 11:35 — pubblicato 03/06/2019 11:35